È inconsueto per una società scientifica dedicare attenzione al futuro non immediato; invece il recente 17° Congresso nazionale dell’Associazione italiana di Psicogeriatria
si è concentrato sull’analisi dell’evoluzione delle condizioni di vita degli anziani fragili nei prossimi dieci anni. Lo scopo è delineare possibili risposte alle difficoltà - che saranno sempre più gravi - della clinica, dell’organizzazione sanitaria e del supporto delle comunità ai cittadini in generale, e agli ammalati e alle loro famiglie in particolare. In questa logica il congresso è iniziato con una discussione attorno al tema “Invecchiare è un’arte difficile”; partendo dall’oggi, si sono identificati i punti fermi per un invecchiamento in salute, come si potrebbe realizzare in futuro se vengono rispettate alcune condizioni fondamentali. Si tratta di un’evoluzione del vecchio slogan “Invecchiare non è una malattia”, secondo il quale il passare del tempo non comporta necessariamente la comparsa di patologie, purché si rispettino alcune condizioni di vita. Le quali sono spesso difficili e richiedono l’impegno del singolo, ma anche l’attiva partecipazione della collettività.
Dalla discussione è risultato che lavorare molto fa bene alla salute e permette di vivere a lungo; certo, vi sono i lavori usuranti che devono essere evitati; però, in generale,
l’impegno serio e coinvolgente del tempo sul piano psichico e fisico è una componente indispensabile del vive bene a qualsiasi età, in particolare in quelle avanzate.
Questa affermazione diventa centrale se collocata nel nella vita futura, quando vi sarà sempre minore richiesta di lavoro, perché sostituito dalla macchine (i robot in primis). Come potrà ben invecchiare chi non trova più lavoro? Quali forme di impegno psicofisico bisognerà inventare per non essere vittime della depressione, della perdita di interessi e di scopi, della rinuncia a guardare al futuro? È una domanda senza risposte; purtroppo oggi sono in pochi a porsela.
In particolare la politica è assente e sembra assistere al modificarsi degli scenari vitali senza alcun interesse, e quindi senza progettualità.
L’altro aspetto vitale al centro del dibattito è stata la solitudine, ben noto fattore di sofferenza psichica, che spesso induce vere e proprie patologie somatiche. La letteratura
scientifica è arrivata a definire “patogena” la solitudine a tutte le età, ma particolarmente nella vecchiaia. Come sarà la vita degli anziani tra 10 anni se continuerà l’attuale tendenza verso la rottura dei legami, a cominciare da quelli famigliari, la comunicazione mediata e non diretta, la prevalenza dominante degli aspetti commerciali
nelle relazioni tra le persone?
La “società liquida” potrà essere un contenitore salutare di un numero crescente di anziani o diventerà un imbuto di disperazioni e di sofferenza?
In queste analisi il rischio maggiore è assumere atteggiamenti genericamente negativi, dimenticando le lezioni della storia, la complessità dell’evoluzione futura della nostra
specie e la possibilità di eventi inattesi che modificano radicalmente i ritmi vitali ai quali siamo abituati. Però altrettanto negativo del catastrofismo è la scarsa attenzione, il disinteresse per le sorti individuali e comunitarie, il fatalismo.
Il futuro è stato analizzato anche nella prospettiva delle povertà, che sono nel nostro tempo un pesante limite alla crescita equilibrata degli individui, e, talvolta, al raggiungimento di una vecchiaia in salute. Oggi le povertà economiche, culturali, relazionali interferiscono con il benessere e la salute; il futuro sarà radioso in questo campo o assisteremo a livello planetario a crisi drammatiche, che porteranno ad ancora maggiori difficoltà economiche e sociali? Le migrazioni, le guerre, le tensioni religiose
modificheranno radicalmente lo stile di vita dei vecchi; come sarà possibile difendere gli spazi fino ad ora raggiunti? Il relativo benessere di oggi, ancorché tra gli anziani vi siano ancora troppe persone che soffrono per la povertà, sarà travolto dalla trascuratezza verso i loro bisogni, a cominciare dai servizi sanitari e, in generale, di supporto al benessere?
Riusciremo a garantire un intervento chirurgico, se realmente necessario, anche alle persone di 90 anni? E la casa di riposo? Le povertà individuali e delle aggregazioni di cittadini permetteranno una vita decente ai vecchi?
Infine, al congresso dell’Aip si è discusso di quanto sia difficile invecchiare bene per chi non ha adottato stili vita salutari; la scarsa attività fisica, la mancanza di interessi, l’alimentazione scorretta, la precaria adesione alle terapie per malattie quali il diabete e l’arteriosclerosi sono condizioni oggi molto diffuse, che hanno provocato danni gravi alla salute degli individui. In futuro, il singolo avrà la forza di adottare stili di vita più salutari? L’attuale grande diffusione di pratiche apparentemente salutistiche nell’alimentazione, nell’attività fisica, nella prevenzione delle malattie si tradurrà in situazioni realmente efficaci per raggiungere una vecchiaia in salute e per vivere più a
lungo? In comunità abitate da individui che si autogovernano, spesso privi di supporti, sarà più facile seguire pratiche salutari?
Purtroppo sono più gli interrogativi senza risposta che non le indicazioni certe sulle strade da seguire, oggi come tra 10 anni. La medicina, che in questi anni ha avuto responsabilità centrali nei diffusi guadagni di salute delle popolazioni, dovrà giocare ruoli importanti, perché ha la cultura e le conoscenze tecniche per indirizzare anche le altre componenti della vita collettiva.
La salute dei vecchi dipenderà molto dalla nostra capacità di capire il termine “Syndemic”, di recente coniato per esprimere la dipendenza della salute da molti fattori, e di coglierne il senso, che diverrà sempre più pregnante nei prossimi 10 anni.
* associazione italiana di Psicogeriatria
Da Il Sole 24 Ore Sanità