E altri 600.000 ricevono un’assistenza non proporzionale al proprio bisogno presso il domicilio. L’ospedale o il ricorso alle badanti diventano un approdo in cui ricercare una risposta immediata, anche se potenzialmente inappropriata, all’emergenza familiare. Permangono, inoltre, forti squilibri territoriali.
Il Rapporto Oasi 2016, l’Osservatorio sulle aziende e sul sistema sanitario italiano presentato questa mattina alla Bocconi, individua nell’assistenza agli anziani non autosufficienti la grande sfida della Sanità e del Welfare per i prossimi anni. Dei 2,7 milioni di anziani non autosufficienti, solo 200.000 sono presi compiutamente in carico in strutture loro dedicate, altri 600.000 ricevono un’assistenza non proporzionale al proprio bisogno presso il domicilio, i restanti si riversano nel Ssn, alla disordinata ricerca di assistenza e di cure, soprattutto se gratuite. In questo scenario l’ospedale o il ricorso alle badanti diventano un approdo in cui ricercare una risposta immediata, anche se potenzialmente inappropriata, all’emergenza familiare.
Si registra un equilibrio economico-finanziario non più episodico, visto che il Ssn risulta in avanzo di bilancio per il terzo anno consecutivo. Tale equilibrio è anche il frutto di sei anni nei quali la spesa sanitaria non è aumentata, mentre nel resto d’Europa cresceva a un ritmo medio vicino al 4%.
Permangono, inoltre, forti squilibri territoriali, non più in termini di deficit, visto che il risanamento è ormai diffuso (gli unici disavanzi di una qualche rilevanza, nel 2015, riguardavano la Sardegna, -340 mln; la Liguria, -110 mln e il Molise, -25 mln), ma in termini di copertura dei bisogni. La stessa presa in carico dei non autosufficienti è quasi nulla in alcune regioni del Mezzogiorno e la speranza di vita varia a seconda dell’area di residenza e del titolo di studio conseguito. “C’è una netta e tendenzialmente crescente divaricazione tra servizi sanitari regionali del Centro-Nord e del Sud in termini di offerta sanitaria pubblica, spesa sanitaria privata e, soprattutto, servizi socio-sanitari sia residenziali che informali”, afferma Francesco Longo, responsabile del Rapporto Oasi 2016, al quale hanno partecipato anche Patrizio Armeni, Lorenzo Fenech, Alessandro Furnari, Francesco Petracca e Alberto Ricci.
I decisori politici italiani, denuncia il Rapporto, stentano ancora a considerare la sanità un volano di sviluppo economico. E invece i dati Istat relativi al 2014 indicano che l’assistenza sanitaria e sociale, con 149 miliardi, rappresenta il settimo settore dell’economia nazionale per prodotto lordo, il sesto se si aggiunge la produzione di farmaci (24 miliardi). Il prodotto dell’assistenza sanitaria e sociale è appena inferiore a quello del principale comparto della manifattura, cioè la produzione di macchinari e apparecchiature (152 miliardi), ma risulta superiore ad altri settori portanti dell’economia nazionale come le attività finanziarie ed assicurative (142 miliardi), l’alimentare (129 miliardi), la ricettività e la ristorazione (102 miliardi) o il tessile e la moda (81 miliardi).
Eppure, la quota di spesa sanitaria sul totale della spesa per protezione sociale è in costante contrazione dal 2008 (quando pesava il 26,2%) a oggi (23,5%) e il livello di spesa totale pro-capite per la sanità in Italia (3.239 dollari nel 2014) è più basso di quelli di Regno Unito (3.377), Francia (4.508), Germania (5.182) e Stati Uniti (9.403). La spesa sanitaria privata rappresenta il 3,4% della spesa delle famiglie, contro un 9,8% dedicato, per esempio, ad alberghi e ristoranti.
Da QS