Per evitare la fragilità non bastano dieta sana e movimento, serve mantenersi attivi anche con la testa e soprattutto non restare soli, ma aprirsi alla vita sociale.
Mettere al bando la solitudine è il terzo pilastro delle regole anti-fragilità, quello fondamentale per la “tenuta” cognitiva: l’isolamento aumenta il rischio di demenza ed è un fattore di rischio molto pesante se si soffre già di un’altra malattia: dal diabete ai problemi cardiovascolari. Si tratta di una catena di guai: «Star da soli peggiora le funzioni cognitive e riduce il tono dell’umore, questo a sua volta rende fragili e diminuisce la resilienza, ovvero la capacità di reagire alle difficoltà — osserva Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria —. Per rispondere alle avversità o alle situazioni complesse infatti è necessario capire la realtà, ma se si hanno disturbi cognitivi diventa molto difficile; occorre poi pensare, e mettere in atto, una risposta adeguata alla sfida che abbiamo di fronte, ma anche questo può diventare impossibile se, per esempio, si soffre di depressione, che porta a stancarsi e a rinunciare a ogni velleità di azione».
Per non essere fragili, quindi, l’antidoto è una buona vita intellettuale e di relazione: lavorare fin quando si può e si vuole continuare a farlo, leggere, coltivare interessi e amicizie aiuta a essere meno vulnerabili. «Difficile prendersi cura di sé, uscire per una passeggiata o impegnarsi per migliorare l’alimentazione se si è soli e con un tono dell’umore sempre nero — dice Trabucchi —. Purtroppo l’isolamento è sempre più spesso un compagno di vita per gli anziani, ma dobbiamo combatterlo: un anziano solo e depresso è molto, molto più fragile di chi ha una buona rete di rapporti familiari e sociali».