L’impatto economico della pandemia sulle RSA non si limita al 2020 ma produce effetti anche nel 2021,
anzi per alcuni enti il 2021 si sta rivelando un anno ancora più difficile del precedente.
Articolo a cura del Prof. Antonio Sebastiano, Direttore dell'Osservatorio Settoriale sulle RSA presso LIUC Business School di Castellanza.
Prima della pandemia il termine RSA era noto soprattutto agli addetti ai lavori e a chi aveva un proprio caro ricoverato in una struttura, ora invece, anche a causa della campagna mediatica della prima ondata pandemica, è noto al grande pubblico in un’accezione non particolarmente positiva. Ciò ha prodotto delle ricadute nella gestione delle strutture, perché i pregiudizi negativi hanno pesato al momento della riapertura.
Il “mondo” delle RSA presenta alcune peculiarità:
- Eterogeneo e frammentato per dimensioni, natura giuridica, regimi fiscali e modelli gestionali degli enti che ne fanno parte. Coesistono strutture “micro” da 20 posti letti (p.l.) con strutture da oltre 200, enti pubblici con enti privati profit e non profit.
- Significative differenze a livello regionale nelle regole di accreditamento, modalità di accesso, tariffe, standard gestionali e organizzativi, contributi alla spesa sanitaria da parte del sistema sanitario regionale…
- Difficoltà di reperire dati certi, anche perché la designazione ufficiale con cui sono chiamate varia molto tra una regione e l’altra (ad es. talvolta in due regioni vengono identificate con lo stesso nominativo due tipologie di strutture differenti).
Nel 2018, dato più recente messo a disposizione dall’ISTAT, le strutture residenziali per anziani a livello italiano presentavano una dotazione complessiva di oltre 312.000 p.l., ma di questi posti letto quelli quelli a valenza socio-sanitaria sono solo circa 265.000 (Fonte: Dati ISTAT, con elaborazioni Osservatorio Settoriale sulle RSA).
Confrontando questi dati con la popolazione italiana over65 anni, risulta che sono presenti meno di 20 posti letto ogni 1000 anziani residenti. La rete di offerta è dunque sottodimensionata e questo problema è stato solo temporaneamente congelato dalla pandemia.
L’incremento di mortalità è stato mediamente superiore al 20% su tutto il territorio italiano ma ciò non ha riguardato solo la fascia di età >85 anni, che tipicamente è la fascia degli anziani assistiti in RSA, ma ha interessato anche le fasce 75-84 anni e 65-74 anni. Questi dati si riferiscono alla totalità dei decessi e non solo a quelli causati da Covid-19, in quanto durante la prima ondata molti di essi non sono stati diagnosticati.
Alcuni dati
I dati presentati nei paragrafi seguenti provengono da un campione di 126 enti lombardi, che gestiscono complessivamente 154 RSA oltre ad altri servizi complementari (es: CDI), rappresentando il 30% dei posti letto totali presenti in Lombardia*.
Il campione può essere analizzato secondo due parametri: la natura giuridica delle strutture e la loro dimensione.
In base alla natura giuridica le strutture si suddividono in private non profit (fondazioni, cooperative, enti ecclesiastici…), che rappresentano il 75% del campione, private profit (società di capitali), pari al 17% del campione, e pubbliche, circa il 9%. Per quanto riguarda le dimensioni, le strutture del campione si suddividono in 4 classi: gli enti piccoli fino a 60 p.l. (15%), gli enti medi da 61 a 120 p.l. (44%), i medio-grandi da 121 a 200 p.l. (21%) e i grandi da oltre 200 p.l. (19%).
Il bilancio di settore (=sommatoria dei 126 bilanci), suddiviso per le annate 2018-2019-2020 mostra una significativa contrazione della liquidità, passata da 147 a 131 milioni per effetto dei mancati ricavi per i posti letto che non è stato possibile occupare, con un impatto più forte per quegli enti che sono stati maggiormente colpiti dal virus. Al contempo sono aumentati i debiti correnti verso i fornitori, dettati appunto dalla minore liquidità, come anche i debiti a breve termine verso le banche.
Mentre nel biennio 2018-19 i risultati a livello di settore rimangono stabili, per cui la maggior parte degli enti (81%) chiude l’anno con il bilancio in attivo, nel 2020 si registra la tendenza opposta, per cui solo il 31% delle strutture chiude in attivo, con una perdita complessiva di 61 milioni di utile.
Ciò è dovuto, più che all’aumento delle spese (ad esempio per l’acquisto di DPI), alla diminuzione dei ricavi, soprattutto di quelli da retta alberghiera (più di 100 milioni di euro in meno rispetto al 2019).
Analizzando i dati in base alla dimensione delle strutture, emerge che l’88% degli enti di grandi dimensione ha chiuso con un risultato economico negativo, dato che scende al 48% per le strutture medio grandi, al 64% per le strutture medie e al 47% per gli enti piccoli.
Dal punto di vista della natura giuridica si osserva che gli enti profit hanno avuto i migliori risultati economici, dove il 57% delle strutture chiude con un utile. Nel caso degli enti pubblici e dei privati non profit la percentuale cala rispettivamente al 27% e al 26%.
Conclusioni
Come emerge dai dati sopra presentati l’impatto economico-finanziario che la pandemia ha avuto sulle RSA è stato notevole e le sue conseguenze si avvertiranno ancora a lungo.
Questa situazione, per quanto negativa, offre tuttavia l’opportunità di riprogettare l’organizzazione delle strutture, tenendo conto dei cambiamenti imposti dalla pandemia e applicando quanto si è imparato sul campo.
[*1] N.B: Le analisi di seguito presentate sono valide solo per gli enti partecipanti all’indagine. I dati non possono essere inferiti all’intero settore.