Tredici dicembre del Duemila, il giorno di Santa Lucia. Maria Paolina Ongaro, allora 65enne, prende in mano la cornetta del telefono e uno dopo l’altro sorprende tutti i familiari: «Vi saluto, vado a vivere al Trivulzio».
Si fa da sola valigia. La scelta che cambia la sua vita è di poche settimane prima. Distrutta dalla morte del figlio di 38 anni stroncato da un infarto e già vedova del marito Livio, Paolina decide di vendere casa e con il gruzzolo raccolto si pagherà la retta della casa di riposo: «Meglio non pesare sugli altri, io preferisco arrangiarmi». Oggi è una delle ospiti con più anni trascorsi alla Baggina, rimbalzata spesso sui giornali per gli scandali giudiziari. La storia di difficoltà e coraggio di questa ex sarta della Maggiolina, una vita tra viale Fulvio Testi e Pratocentenaro, s’intreccia alla Milano del Dopoguerra e rivela uno spaccato poco conosciuto: c’è chi trasforma una casa di riposo in un’abitazione a tutti gli effetti. E non per un breve lasso di tempo, per gravi malattie o disperazione dei parenti impossibilitati ad accudirla, ma come antidoto alla solitudine e per diciassette lunghissimi anni. E tutti gli altri che verranno.
A zia Paolina, come la chiamano affettuosamente medici, fisioterapisti e infermieri, piace soprattutto la tombola del lunedì. Vive nella stanza numero 7, al primo piano del padiglione centrale, intitolato a Pio XI e inaugurato il 12 dicembre del Ventotto con il rituale del Te Deum e la soddisfazione del commendatore Carlo Valvassori Peroni. A quel tempo gli ospiti sono 845 come scrive il Popolo d’Italia, oggi se ne contano 570: 319 che pagano di tasca propria come Paolina, altri 251 a carico del Comune in quanto indigenti. La retta per i solventi è di 75 euro per una camera da tre (per chi la vuole da solo il prezzo sale a 92 euro, per due sono 82). Le compagne di stanza sono Ines e Gabriella.
È proprio per assicurarsi il posto letto che la sarta vende i due locali di Pratocentenaro, 50 metri quadrati di un piano rialzato, il bagno appena rifatto e un’infinità di ricordi. I 120 mila euro ricavati, custoditi in banca, sono fondamentali per arrotondare la pensione e pagarsi il soggiorno alla Baggina. Del resto, vale da sempre l’insegnamento della mamma, la prestinaia Pasquina, cinque figli e anche lei vedova giovanissima: «Il campanello non deve mai suonare per i debiti». Così, appena finita la quinta elementare, Paolina è già al lavoro. Giorno e notte. Sarta autodidatta, una capacità innata che la porterà negli anni Ottanta a cucire i primi reggiseni carioca: «A balconcino, con i nastri — ricorda — e il capezzolo libero». Poi la sua attività preferita diventa creare busti, ma con stoffe preziose: «Il mio — mostra Paolina scostando il vestito nero a fiori bianchi — l’ha cucito Fernanda, collega d’un tempo, lì nel negozio davanti alla Chiesa Santa Maria di Lourdes e che ancora mi porta i busti creati da lei».
Le ferite della vita lasciano cicatrici indelebili, ma non le tolgono la voglia di lottare: «Ho imparato di nuovo a camminare dopo un periodo in cui non riuscivo a stare in piedi. Dio mi ha dato un bambino quando pensavo di non poterne avere, poi me l’ha tolto all’improvviso». Per scacciare la malinconia guarda spesso le foto del marito e del figlio che custodisce in un’agendina («Sono state scattate nei dieci anni più belli della mia vita»). Per sognare ancora divora romanzi Harmony, impilati sul comodino («Me li regalano gli infermieri»). Per gli acciacchi della vecchiaia c’è la palestra («La fisioterapia fa bene»). E per sentirsi in ordine non rinuncia all’appuntamento settimanale dal parrucchiere. L’una e l’altro, ovviamente, sono all’interno della Baggina. Paolina esce solo per le gite organizzate. L’ultima, all’agriturismo da Pippo a Cassignanica, la racconta come una meraviglia. La sua passione sono le lezioni di computer. Il martedì l’appuntamento è con i giochi di parole, il mercoledì con il laboratorio creativo; ci sono le proiezioni di film e gli spettacoli musicale. Tre amici del figlio la vengono a trovare di tanto in tanto, lo stesso fa la nipote Anna. «Ma ognuno ha i propri impegni — ammette —. Adesso, è questa la mia casa».
Da Corriere.it