La fragilità non è solo una condizione di debolezza generale, senza una malattia conclamata, che mette le basi per il declino.
Ne esiste infatti un secondo tipo, la cosiddetta fragilità clinica, più legata a comorbidità e disabilità: «La fragilità clinica è diretta conseguenza della coesistenza di varie malattie e si associa a livelli più o meno elevati di perdita di una o più capacità funzionali di base, dal nutrirsi o vestirsi da soli al salire le scale —– spiega Nicola Ferrara, presidente SIGG —. Un anziano di questo tipo è complesso, ancor prima che fragile: ha varie diagnosi, anche serie, che possono o meno comportare disabilità e quindi problemi nella vita di tutti i giorni».
Così esistono anziani con molte malattie che non sono vulnerabili perché hanno mantenuto una buona funzionalità e autonomia, altri che per colpa di quelle stesse patologie sono diventati molto fragili perché hanno perso alcune capacità essenziali per restare indipendenti. «Questo tipo di fragilità si combatte e si previene curando le malattie dell’anziano, ma senza focalizzarsi sul singolo organo — osserva Ferrara —. Lo sguardo deve essere sempre globale perché lo scopo è mantenere le funzioni e l’attività dell’organismo al miglior livello complessivo possibile, il più a lungo possibile».
Tutto ciò implica una valutazione delle priorità di cura: spesso per garantire all’anziano una miglior qualità di vita, basta concentrarsi sulla gestione del problema che più la compromette.